Cento anni fa, esattamente il 16 novembre 1922, nasceva uno degli scrittori più importanti di sempre: José Saramago, Nobel per la Letteratura nel 1998. Quando ritirò il prestigioso premio dichiarò di sentirsi, più che uno scrittore, un apprendista che impara dai propri personaggi. Pilar del Río, l’amatissima moglie andalusa, nonché traduttrice dei suoi testi dal portoghese allo spagnolo, in un’intervista raccontava un bellissimo aneddoto. Saramago si dedicò completamente alla scrittura in età piuttosto avanzata e quando decise di scrivere il libro Una terra chiamata Alentejo (1980), lasciò tutto e partì per incontrare i contadini senza terra e ascoltare le loro storie. Erano uomini e donne sottomessi alla legge del latifondo, che lavoravano dall’alba al tramonto, guadagnavano pochissimo e vivevano in condizioni di estrema povertà. Pilar raccontava che quando Saramago cominciò a scrivere questa storia, per le prime quaranta pagine usò uno stile letterario molto sobrio, ma poi accadde qualcosa di strano. Iniziò a sentire le voci dei contadini e delle contadine con cui aveva parlato e a scrivere con la loro voce. Quando arrivò alla fine della narrazione, riscrisse anche le prime quaranta pagine. Fui molto affascinata da quell’intervista, non solo per l’aneddoto, chiaro riferimento al fatto che tutta l’attività letteraria di Saramago va intesa come lavoro politico, ma per la passione di Pilar nel raccontare l’uomo con cui aveva condiviso 24 anni di vita. Una volta Saramago ammise che grazie a Pilar, la sua vita poté essere una continua ascesa umana. Direi di aver vissuto tutto quello che ho vissuto per arrivare a lei, diceva. E in questa splendida dichiarazione d’amore alla sua donna, non posso non pensare a come tutto il genere femminile, nei suoi romanzi, assurga al ruolo di forza capace di trasformare la realtà e di mutare le sorti dell’umanità. Le azioni delle donne, nei romanzi di Saramago, riescono ad aprire orizzonti e a innescare dei cambiamenti nelle vite degli altri personaggi. Penso a Lidia ne L’anno della morte di Ricardo Reis (1984), all’audace Maria Sara in Storia dell’assedio di Lisbona (1989), a Maddalena, la prostituta che cambia la sua vita per amore ne Il Vangelo secondo Gesù Cristo (1991), a Lilith, la seduttrice, in Caino (2009) e persino alla Morte che finisce per essere personificata in una donna capace di fare l’amore, in Le intermittenze della morte (2005). Ma è in due romanzi, in particolare, che emerge chiaramente il ruolo salvifico affidato alla donna. In Memoriale del convento (1982) una delle figure principali è Blimunda, la veggente, che ha la straordinaria capacità di scrutare dentro le persone. È proprio grazie a questa sua capacità che verrà attuato un sogno, quello della costruzione di un aerostato il cui propulsore era costituito da un gas particolare: la volontà degli uomini. E Blimunda, con la sua capacità di vedere all’interno degli uomini, riesce a far alzare in cielo la macchina volante. È la grande, interminabile conversazione delle donne, dice Saramago che trattiene il mondo nella sua orbita.
Nell’altro suo capolavoro, Cecità (1995), la “moglie del medico” è l’unica che conserva la capacità di visione in un contesto in cui un’inspiegabile epidemia causa la cecità dell’intera popolazione, generando terrore e violenza. Sarà infatti proprio la “moglie del medico” ad essere presa come punto di riferimento, non solo in quanto guida in una città devastata, ma anche in quanto persona dotata di consapevolezza e maturità.
C’è una interessantissima lectio on-line della professoressa Orietta Abbati, dell’Università di Torino, che ha avuto tra l’altro l’opportunità di conoscere personalmente Saramago, in cui viene riportato il pensiero dello scrittore a tale proposito:
I miei personaggi davvero forti, veramente solidi, sono sempre figure femminili. Probabilmente questo deriva dal fatto che la parte dell’umanità su cui nutro ancora una speranza è la donna.
Quando sua moglie Pilar, che oggi è Presidentessa della Fondazione Saramago (guai chiamarla Presidente! Al contrario di altre scelte a noi note, lei lo vieta assolutamente), gli chiese negli ultimi tempi Cosa vuoi che io faccia?, Saramago rispose: Continuar-me. Continuarmi. Continuare Saramago! Che responsabilità! E come si fa a continuare Saramago? Credo che nella prodigiosa capacità di accordare le voci dei suoi personaggi, in quella sua percezione polifonica del mondo, anche con quel suo stile che si caratterizza per la sua oralità, pretendendo un lettore attivo, che metta egli stesso il ritmo nella lettura, il messaggio dell’opera di Saramago sia l’intolleranza verso tutte le ingiustizie e il rischio di diventare disumani.
Sto aspettando, ormai da troppo tempo, diceva ancora, che la donna si decida a svolgere nel mondo il ruolo che non sia di mera competitrice nei confronti dell’uomo. Se è solo per prendere il posto che l’uomo ha sempre avuto nel corso della Storia, non ne vale la pena. Ciò che serve all’umanità è qualcosa di nuovo, che io non so definire, ma sono ancora convinto che venga dalla donna. Quello che mi preoccupa, è che quando la donna arriva al potere tutto questo si perda.
(pubblicato nella Gazzetta del Mezzogiorno del 16 novembre 2022)
©Rita Lopez