La bambina dai capelli turchini

Si era laureata in Psicologia con il massimo dei voti.
Un dottorato sulla devianza giovanile e poi il concorso al Penitenziario.
Superato brillantemente, anche quello.
Mi sfugge il suo nome, ma noi, i ragazzi del Penitenziario, la chiamavamo “La Bambina dai Capelli Turchini”, per via del colore corvino dei suoi lunghi capelli, con i riflessi azzurri.
Avete presente quando il cielo è completamente oscurato, appena prima che sprofondi nella notte più buia, ma in fondo in fondo si percepisce ancora, nettamente, una nota di azzurro nell’aria?
Ecco, i suoi capelli erano di quel colore là.
Li portava perennemente legati, tenuti stretti, in basso, dietro la nuca.
Era brava, seria, puntuale.
Era una che aveva passato la sua adolescenza china sui libri, a studiare. E si vedeva.
A noi, giovani e impetuosi “devianti” sociali piaceva un sacco, perché aveva negli occhi quell’aria ingenua da ragazzina per bene, quasi sprovveduta a volte, quel candore verginale, quella purezza tipica delle persone squisitamente ingenue.
Dalla finestra della mia cella la vedevo arrivare ogni mattina alle otto, accompagnata in auto dal suo fidanzato.
Ed ogni pomeriggio, alle cinque, la osservavo andare via, sempre insieme a lui.
A vederli così, rigidi e impettiti, era inevitabile che, tra di noi,  facessimo delle battute oscene sulle capacità sessuali del tipo.
Ma devo dire la verità: quello stava sinceramente, spassionatamente, profondamente sulle palle a tutti.

Pino arrivò al Penitenziario verso la fine dell’inverno. Avrà avuto poco più di 20 anni.
Era uno spilungone dinoccolato, magrissimo.
Indossava una giacca tre taglie più grandi della sua misura. Si muoveva in maniera buffa, ricordava quasi un burattino di legno.
Portava sempre l’armonica in tasca e quando la poggiava sulle labbra sembrava che la suonasse col suo lungo naso appuntito.
Lo avevano beccato per un furto d’auto se non ricordo male. O roba del genere.
Due guardie lo accompagnarono nella mia cella e diventammo subito amici.
Mi raccontava della sua vita, di suo padre malato e povero in canna, tanto che dovette vendersi la giacca per comprargli i libri di scuola.
Mi raccontava del suo quartiere malfamato, dove la migliore aspettativa, per un ragazzo, era quella di diventare contrabbandiere di sigarette.
Mi raccontava delle amicizie poco raccomandabili, delle sbronze quotidiane e delle risse notturne, delle storie piccanti con le ragazze, delle fughe continue da casa e dei continui ritorni.

Il giorno dopo il suo arrivo al Penitenziario, Pino ebbe il suo primo colloquio con la “Bambina dai Capelli Turchini”.
“Allora? Che te ne pare?” gli chiesi ammiccando, appena rientrò nella cella.
“Chi quella?” rispose con aria beffarda “quella dovrebbe stare un paio d’ore da sola con me!”.
Passò il pomeriggio sdraiato sul letto a suonare l’armonica.
Poco prima delle cinque, si affacciò alla finestra, giusto in tempo per vedere la “Bambina” salire nell’auto del tipo e sfrecciare via lungo la strada.

Ho sempre pensato che la vita sia un’opportunità pazzesca per ognuno di noi.
Ed ora che sono vecchio, lo credo ancora di più.
Credo nel guerriero sfrontato e muscoloso che ci abita dentro.
Credo nella capacità che abbiamo di rendere eroica la nostra esistenza, a prescindere da dove ci capita di trascorrere i nostri anni: in fabbrica, o a scuola, o a fare la casalinga, o a combattere su un vero campo di battaglia. O in un Penitenziario.
Ora io non so cosa si siano detti Pino e la “Bambina dai Capelli Turchini”, di cosa parlassero durante i loro colloqui, di cosa sognassero precisamente.
Non so come si sia acceso l’amore tra di loro, come abbiano fatto ad alimentarlo, fino a farlo diventare una enorme vampa avvolgente.
So che ci hanno creduto. Questo so.

Pino uscì dal Penitenziario alla fine della Primavera e il suo posto fu occupato da uno spacciatore.
Era un pomeriggio dei primi di Luglio quando sentii il suono della sua armonica provenire giù dalla strada.
Guardai attraverso le sbarre della finestra e lo vidi. Era poggiato con le spalle al lampione, al bordo del marciapiede.
Subito dopo la “Bambina” lo raggiunse.
Era bellissima. Aveva i capelli blu notte con i riflessi turchini sciolti sulle spalle.
Le arrivavano alla vita.
Prima di andare via con lei, Pino alzò lo sguardo verso la mia cella e mi sorrise.
“Addio Luciano!!” gridò. Sollevai il braccio per salutarlo.
Li vidi andare via mano nella mano, fino a scomparire dietro l’angolo della strada.
Il giorno dopo una nuova psicologa arrivò al Penitenziario .

© Rita Lopez

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