La cosa più buona del mondo

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Il vento di tramontana, dritto sulla faccia, mi gela le guance e mi fa lacrimare gli occhi.
Chissà perché ho ripensato a te questa mattina.
Era così ogni volta che dormivo a casa tua: ti sentivo sgusciare da sotto le coperte, nella tua camera da letto, e trascinare i piedi in cucina dove ti preparavi il caffè con la macchinetta napoletana.
Mi alzavo anch’io e ti seguivo.
Faceva freddo in quella casa senza termosifoni ma tu, in canottiera, di fronte al lavandino di pietra, ti buttavi l’acqua gelata sulla faccia.
“Brrrrr!!” dicevi alla fine, facendo vibrare vistosamente le labbra e scuotendo la testa da una parte all’altra, schizzando dappertutto un pioggia ghiacciata.
Ridevo coprendomi il viso con le mani.
Bevevi il tuo caffè come fosse la cosa più squisita del mondo. Un sorso e una boccata di sigaretta. Un sorso e una boccata di sigaretta. Lasciavi la tazzina vuota sul tavolo e io col dito raccoglievo lo zucchero sul fondo e, avevi ragione!, era la cosa più buona e squisita del mondo.
E poi arrivava il momento per me più divertente.
Ti avvolgevi le gambe con i fogli di giornale, prima di infilare i pantaloni.
E lo stesso facevi attorno al petto, prima di indossare la giacca.
“Ammèn iosce!”. Fa freddo oggi.
Quando avevi finito, ti chinavi verso di me e ti toccavi la guancia con l’indice. Ti davo un bacio e uscivi di casa.
Correvo ad infilarmi ancora per un po’ sotto le coperte.
E mi piaceva immaginarti mentre pedalavi sulla tua bicicletta accanto al lungomare incazzato e ventoso, nella tua buffa armatura. Le spalle strette per ripararti dal freddo. Potevo vedere il maestrale scaraventare le onde sugli scogli, nella furia della mareggiata, e coprire di schiuma bianca l’asfalto della strada, ma tu, il mio eroe bardato di fogli di giornale, la testa bassa, gli occhi strizzati, il sapore di caffè in bocca, le schivavi ogni volta.
Così ti immaginavo allora.
Così ti ho immaginato stamattina.

©RitaLopez

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