Non mi ricordo bene come e chi mi fece conoscere Stephanos.
Mi ricordo, di sicuro, che era all’epoca del liceo.
E mi ricordo, di sicuro, che rimasi folgorata.
Avrà avuto una decina d’anni più di me. Era un uomo. Un uomo con tutti i crismi.
Si era laureato nel suo paese, in Grecia, ed ora girava il mondo.
Ebbene, io avrei sfidato qualsiasi donna a conoscere Stephanos e a non rimanere folgorata.
Stephanos dai capelli spettinati, dagli occhi di volpe e dai denti di brina.
Stephanos con quel modo di camminare e di telefonare e di poggiarsi agli alberi mentre ti parla.
Stephanos con gli stivali consumati, col fiato che odora di tabacco.
Stephanos che suona l’armonica e ti guarda e tu ti senti morire.
E prima di partire mi chiese “Vieni con me?”
E io gli avrei voluto dire: “Stephanos, ma sei pazzo? devo finire la scuola e poi solo all’idea di mio padre e mia madre, oddiomio!!! mi sento male. E poi scusa, non lo vedi che sono una ragazzina, così meridionale, con la mia educazione così bigotta, così attaccata alle tradizioni, alla famiglia, a tutta quella roba là…??? o madonnamiasantissima, pazzo sei???!!”
E invece, con aria di sufficienza, da donna vissuta, gli risposi nella maniera più teatrale possibile: “Ora non è il momento Stephanos”.
Che falsa spudorata!!!
Passammo il pomeriggio a casa dell’amico che lo ospitava.
Pioveva. Si sentiva l’acqua che schizzava tra le ruote delle auto e dell’odore dell’asfalto bagnato era piena la stanza.
Il respiro caldo di Stephanos tra i miei capelli.
Gente, che questo vi basti. Sta piovendo. E Stephanos mi è venuto in mente. Punto.